Mi pare che non abbiano ricevuto l’attenzione che meritano le parole pronunciare da Di Maio qualche giorno fa, quando ha detto che non gli indici, i dati, le statistiche serviranno a capire lo stato del paese, ma sarà il popolo stesso a dire se è felice o meno. È un discorso preoccupante per un serie di ragioni. Le elenco. La prima, è un discorso banalmente furbo: quando i dati su occupazione, consumi, redditi, inizieranno ad andar male, potrà sempre dirsi che non contano nulla perchè il popolo è felice lo stesso. La seconda, come segnalato più volte, salta il discorso razionale. Si può dire tutto e il contrario di tutto, senza provare con numeri, dati e riferimenti precisi quello che si dice, tra la verità e la menzogna non vi è più alcuna distinzione. La terza, nelle democrazia liberali, nelle società aperte il concetto di felicità è del tutto personale, individuale, intimo. Nelle dittature è il potere politico che definisce cosa è la felicità del popolo, di cosa esso si deve rallegrare, e quando ciò accade, significa che ci ritroviamo in uno stato etico, vale a dire uno stato totalitario. In confronto il “panem et circenses” dei despoti romani suona quasi rassicurante. La quarta, con quella frase, dunque, si manifesta una concezione totalitaria della società, nella quale non vi è nulla tra la massa e il capo e quest’ultimo è il solo che sa cosa per il suo popolo è buono e giusto; solo lui è in grado di sentire, di percepire, di avvertire sulla propria pelle, in una simbiosi quasi mistica, la felicità e la gratitudine che la folla ha nei confronti dell’uomo, del partito, del regime che la governa. Solo il capo può interpretare il volere del popolo, tutti gli altri sono dei traditori del popolo, che cercano di sovvertire l’ordine costituito, rovesciando l’unico regime che fa la felicità del popolo; nemici del popolo, al soldo di oscuri poteri o di potenze straniere. Non una legittima opposizione, ma vili e corrotti individui che, come è prassi di ogni dittature, non possono che essere ridotti al silenzio.
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Lo stato etico
Pubblicato da Redazione il
Mi pare che non abbiano ricevuto l’attenzione che meritano le parole pronunciare da Di Maio qualche giorno fa, quando ha detto che non gli indici, i dati, le statistiche serviranno a capire lo stato del paese, ma sarà il popolo stesso a dire se è felice o meno.
È un discorso preoccupante per un serie di ragioni. Le elenco.
La prima, è un discorso banalmente furbo: quando i dati su occupazione, consumi, redditi, inizieranno ad andar male, potrà sempre dirsi che non contano nulla perchè il popolo è felice lo stesso.
La seconda, come segnalato più volte, salta il discorso razionale. Si può dire tutto e il contrario di tutto, senza provare con numeri, dati e riferimenti precisi quello che si dice, tra la verità e la menzogna non vi è più alcuna distinzione.
La terza, nelle democrazia liberali, nelle società aperte il concetto di felicità è del tutto personale, individuale, intimo. Nelle dittature è il potere politico che definisce cosa è la felicità del popolo, di cosa esso si deve rallegrare, e quando ciò accade, significa che ci ritroviamo in uno stato etico, vale a dire uno stato totalitario. In confronto il “panem et circenses” dei despoti romani suona quasi rassicurante.
La quarta, con quella frase, dunque, si manifesta una concezione totalitaria della società, nella quale non vi è nulla tra la massa e il capo e quest’ultimo è il solo che sa cosa per il suo popolo è buono e giusto; solo lui è in grado di sentire, di percepire, di avvertire sulla propria pelle, in una simbiosi quasi mistica, la felicità e la gratitudine che la folla ha nei confronti dell’uomo, del partito, del regime che la governa. Solo il capo può interpretare il volere del popolo, tutti gli altri sono dei traditori del popolo, che cercano di sovvertire l’ordine costituito, rovesciando l’unico regime che fa la felicità del popolo; nemici del popolo, al soldo di oscuri poteri o di potenze straniere. Non una legittima opposizione, ma vili e corrotti individui che, come è prassi di ogni dittature, non possono che essere ridotti al silenzio.
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I cattivi consigliori
Confesso che provo un certo divertimento nel vedere sbraitare il vate di Venezia (Cacciari) che a tavolino disfa governi, pianifica alleanze, sbuffa, borbotta, ma per fortuna, mai nessuno gli dà retta. E così anche nel Leggi tutto…
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Il problema è la domanda
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Vogliono i colonnelli…
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