A proposito di debito pubblico, Craxi, socialisti, Prima Repubblica etc… riporto un passo dell’ultimo preziosissimo libro di Piero Craveri, “L’arte del non governo”, (Marsilio, 2016) dedicato alle conseguenze del divorzio tra il Tesoro e la Banca d’Italia voluto da Andreatta e Ciampi.
Con il divorzio si “revocava l’obbligo della Banca d’Italia di acquisto residuale in sede d’asta di BOT (…) sostituendolo con un sistema in cui l’intervento della Banca d’Italia all’asta deiBOT era una libera decisione della banca stessa, e in cui l’offerta della banca concorreva, su un piano di parità con le altre, a determinare il prezzo”.
Craveri commenta: “Lasciando al mercato il potere di determinare i tassi di interesse sui titoli del debito pubblico questi salivano, essendo privi di quei controlli amministrativi che fino ad allora li avevano calmierati e che, venendo meno il loro effetto, avevano mantenuto il debito pressocchè costante dal 1976 al 1982. Quest’ultimo prese dunque vorticosamente a crescere nel decennio seguente, in assenza di politiche di bilancio che lo contenessero. Si sarebbe presto determinato un circolo vizioso per cui, anche mantenendo il bilancio statale con un avanzo primario e malgrado l’alto tasso di inflazione, l’ammontare del debito sarebbe cresciuto in termini reali per effetto dei tassi di interesse”.
E più oltre: “Andreatta agì senza neppure comunicare le sue intenzioni al presidente del Consiglio e al ministro del Bilancio, tantomeno promosse una discussione del Consiglio dei ministri. (…) Lo scontro avvenne ex post quando non era più possibile tornare indietro. A contrastarlo duramente nel governo furono soprattutto i socialisti, quasi tutti ministri della spesa, con Signorile al ministero del Mezzogiorno e con De Michelis alle Partecipazioni statali che voleva ricapitalizzare le imprese pubbliche, mentre Andreatta si opponeva ad incrementare i fondi di dotazione di quegli enti. Ma il contrasto più duro fu con Rino Formica, ministro delle Finanze a cui toccava, nella contingenza che si andava creando, accrescere il prelievo fiscale. Nella polemica si toccarono accenti verbali inusitati, raggiungendo in Consiglio dei ministri quasi il limite dello scontro fisico”.
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Il debito pubblico e l’arte del non governo
Pubblicato da Redazione il
A proposito di debito pubblico, Craxi, socialisti, Prima Repubblica etc… riporto un passo dell’ultimo preziosissimo libro di Piero Craveri, “L’arte del non governo”, (Marsilio, 2016) dedicato alle conseguenze del divorzio tra il Tesoro e la Banca d’Italia voluto da Andreatta e Ciampi.
Con il divorzio si “revocava l’obbligo della Banca d’Italia di acquisto residuale in sede d’asta di BOT (…) sostituendolo con un sistema in cui l’intervento della Banca d’Italia all’asta dei BOT era una libera decisione della banca stessa, e in cui l’offerta della banca concorreva, su un piano di parità con le altre, a determinare il prezzo”.
Craveri commenta: “Lasciando al mercato il potere di determinare i tassi di interesse sui titoli del debito pubblico questi salivano, essendo privi di quei controlli amministrativi che fino ad allora li avevano calmierati e che, venendo meno il loro effetto, avevano mantenuto il debito pressocchè costante dal 1976 al 1982. Quest’ultimo prese dunque vorticosamente a crescere nel decennio seguente, in assenza di politiche di bilancio che lo contenessero. Si sarebbe presto determinato un circolo vizioso per cui, anche mantenendo il bilancio statale con un avanzo primario e malgrado l’alto tasso di inflazione, l’ammontare del debito sarebbe cresciuto in termini reali per effetto dei tassi di interesse”.
E più oltre: “Andreatta agì senza neppure comunicare le sue intenzioni al presidente del Consiglio e al ministro del Bilancio, tantomeno promosse una discussione del Consiglio dei ministri. (…) Lo scontro avvenne ex post quando non era più possibile tornare indietro. A contrastarlo duramente nel governo furono soprattutto i socialisti, quasi tutti ministri della spesa, con Signorile al ministero del Mezzogiorno e con De Michelis alle Partecipazioni statali che voleva ricapitalizzare le imprese pubbliche, mentre Andreatta si opponeva ad incrementare i fondi di dotazione di quegli enti. Ma il contrasto più duro fu con Rino Formica, ministro delle Finanze a cui toccava, nella contingenza che si andava creando, accrescere il prelievo fiscale. Nella polemica si toccarono accenti verbali inusitati, raggiungendo in Consiglio dei ministri quasi il limite dello scontro fisico”.
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I cattivi consigliori
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