A conclusione del suo davvero bel libro su Cuccia, Giorgio La Malfa scrive: “L’Italia ha perso progressivamente tutte le posizioni di rilievo internazionale che aveva conquistato nel dopoguerra: è scomparsa la grande industria, si è dovuto prendere atto che il patrimonio delle partecipazioni statali era stato dilapidato; i problemi del Mezzogiorno si sono nuovamente acuiti e così via. Oggi rimane molto poco del miracolo italiano e nel paese domina un pericoloso clima di sfiducia. Bisogna dunque ricominciare da capo. Le condizioni di vita ovviamente sono incomparabili con quelle del dopoguerra, ma esse riflettono in parte crescente non il reddito che si produce, ma la ricchezza accumulata che si consuma. (…)
Dobbiamo prendere atto che il nostro tessuto industriale si è moto indebolito e che per ripartire bisogna ritrovare la fiducia che in quei anni lontani aveva mosso il paese. È come se avessimo condotto una lunga guerra contro noi stessi e conto il futuro nostro e sopratutto di quello delle generazioni più giovani. Vi sarebbero in sé, nella situazione attuale, poche ragioni di fiducia, se non si potrà attingere alla stessa forza morale alla quale si poteva fare appello alla fine della guerra: la fiducia che potesse determinarsi uno sviluppo che avrebbe riportato l’Italia fra le grandi nazioni dell’Occidente.
(…) Ciò che l’Italia ha costruito nel dopoguerra era il frutto di una riflessione attenta sulla nostra storia economica e di una straordinaria passione civile di cui sono stati interpreti uomini come Alberto Beneduce, Donato Menichella, Raffaele Mattioli, Enrico Cuccia. Di questa combinazione eccezionale di spirito pubblico e di rigore privato avremmo oggi bisogno. Anzi, abbiamo bisogno.” (pp. 235-236)
Confesso che provo un certo divertimento nel vedere sbraitare il vate di Venezia (Cacciari) che a tavolino disfa governi, pianifica alleanze, sbuffa, borbotta, ma per fortuna, mai nessuno gli dà retta. E così anche nel Leggi tutto…
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Enrico Cuccia
Pubblicato da Redazione il
A conclusione del suo davvero bel libro su Cuccia, Giorgio La Malfa scrive: “L’Italia ha perso progressivamente tutte le posizioni di rilievo internazionale che aveva conquistato nel dopoguerra: è scomparsa la grande industria, si è dovuto prendere atto che il patrimonio delle partecipazioni statali era stato dilapidato; i problemi del Mezzogiorno si sono nuovamente acuiti e così via.
Oggi rimane molto poco del miracolo italiano e nel paese domina un pericoloso clima di sfiducia. Bisogna dunque ricominciare da capo. Le condizioni di vita ovviamente sono incomparabili con quelle del dopoguerra, ma esse riflettono in parte crescente non il reddito che si produce, ma la ricchezza accumulata che si consuma. (…)
Dobbiamo prendere atto che il nostro tessuto industriale si è moto indebolito e che per ripartire bisogna ritrovare la fiducia che in quei anni lontani aveva mosso il paese. È come se avessimo condotto una lunga guerra contro noi stessi e conto il futuro nostro e sopratutto di quello delle generazioni più giovani. Vi sarebbero in sé, nella situazione attuale, poche ragioni di fiducia, se non si potrà attingere alla stessa forza morale alla quale si poteva fare appello alla fine della guerra: la fiducia che potesse determinarsi uno sviluppo che avrebbe riportato l’Italia fra le grandi nazioni dell’Occidente.
(…) Ciò che l’Italia ha costruito nel dopoguerra era il frutto di una riflessione attenta sulla nostra storia economica e di una straordinaria passione civile di cui sono stati interpreti uomini come Alberto Beneduce, Donato Menichella, Raffaele Mattioli, Enrico Cuccia. Di questa combinazione eccezionale di spirito pubblico e di rigore privato avremmo oggi bisogno. Anzi, abbiamo bisogno.” (pp. 235-236)
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I cattivi consigliori
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Il problema è la domanda
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Vogliono i colonnelli…
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